LA CHIAMATA UNIVERSALE ALLA SANTITÀ

la differenza tra "morale" ed "etica"

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Premessa.

La riflessione etica ha accompagnato sempre il sapere umano. Infatti, almeno sin dai tempi di Socrate (V secolo a.C.) la filosofia si è dedicata allo studio del comportamento morale dell’uomo. Già Socrate ragionava sul fatto che la decadenza che subiva la Grecia dei suoi tempi era dovuta alla crisi della vita morale degli ateniesi. Lo stesso Aristotele, qualche tempo dopo, scrisse che «la persona umana si distingue dall’animale perché conduce una vita morale» e definì l’uomo “un animale etico”.

A partire dalla loro comune radice etimologica, sia la morale che l’etica possono definirsi allo stesso modo: “la scienza dei costumi e del comportamento umano”.

Infatti:

  • il termine “morale” deriva dal latino “mos, moris” e significa “modo di agire, comportamento, costume”.
  • il termine “etica” deriva dal greco “éthos” che significa ugualmente “costume, abitudine”.

 

Fondamento “filosofico” dell’agire morale: L’uomo è per natura un essere morale.

La moralità proviene nell’uomo anzitutto dalla sua condizione di essere razionale: lo statuto morale di persona non gli viene dal di “fuori”, ma ha origine nella sua stessa natura. Già Aristotele aveva definito l’uomo come un “essere etico” e individuava la differenza tra l’uomo e l’animale in tre realtà: la razionalità, la socialità e l’eticità; l’uomo si distingue dagli animali perché pensa, perché vive in società e perché vive eticamente. Questa prima considerazione toglie ogni fondamento a certe “correnti culturali” che affermano invece che l’eticità è qualcosa di imposto all’uomo da agenti esterni (la famiglia, lo Stato, la religione, ecc.), sicché le norme morali toglierebbero all’uomo l’autonomia che gli spetterebbe come essere libero. Queste teorie infatti negano la scienza morale perché la considerano “eteronoma” (cioè estranea all’uomo), opprimente la sua libertà, e propongono una dottrina etica che fa dipendere il giudizio morale da fattori variabili (dalle circostanze, dal fine, dalle conseguenze, dalle consuetudini sociali). La morale cristiana rifiuta questi estremismi e aggiunge alla riflessione filosofica un dato fondamentale: l’origine divina dell’uomo!

 

Fondamento “religioso” dell’agire morale: Dio ha creato l’uomo a sua immagine.

Il primo dato della Rivelazione è che la presenza dell’uomo sulla terra è dovuta alla volontà esplicita di Dio. Questo conferisce all’uomo una dignità tale da implicare che il suo comportamento non può essere arbitrario, ma conforme alla sua altissima dignità. Giacché l’uomo riflette nel suo stesso essere l’immagine di Dio, questa condizione spirituale della persona non solo permette, ma anzi richiede che l’uomo coltivi un’adeguata relazione con Dio. Anzi, proprio per la sua origine divina, la persona umana deve tendere a Dio come fine ultimo della sua vita; è Dio stesso che ha impresso nell’essere dell’uomo il desiderio di tendere a Lui, un’apertura sull’Assoluto, una ricerca costante della Verità e del Bene, mai pienamente appagate.

 

Fondamento “cristologico” dell’agire morale: Dio ha salvato l’uomo rendendolo partecipe della vita di Cristo.

Oltre al fondamento “religioso” della teologia morale, per il cristiano esiste una nuova ragione del suo agire etico: la novità di stato che gli comunica la grazia battesimale. Infatti, il sacramento del Battesimo fa sì che il cristiano partecipi della vita di Cristo: la grazia configura la vita del cristiano in un modo del tutto nuovo, che richiede un nuovo tipo di comportamento; egli deve agire in un modo simile all’agire di Cristo (cfr. 1 Gv 2,6), come dice san Pietro: «Cristo vi ha lasciato un esempio, perché ne seguiate le orme» (1 Pt 2,21).

Vediamo alcuni passaggi che giustificano questa affermazione:

  1. L’uomo è creato a “immagine e somiglianza di Dio”
  • Mentre la filosofia si fonda sull’idea di uomo come “animale razionale” e come “essere sociale”,
  • la teologia concepisce la “razionalità” e la “socialità” come qualità umane che traggono origine dal fatto che l’uomo è stato creato a “immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,26-27).

 

  1. Il Battesimo configura l’uomo a Cristo

Il Nuovo Testamento insegna che il battezzato è figlio di Dio e, attraverso il Battesimo, ha ricevuto una nuova vita che lo configura a Cristo stesso. (cfr. Ef 4,24; 2 Cor 5,17; 1 Gv 5,1-3; Gv 3,1-15; Fil 1,21; Rm 8, 14-17; Gv 15,4). In poche parole, come dice San Paolo, il cristiano deve sforzarsi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di «arrivare allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13).

 

  1. La morale come sequela, imitazione e identificazione con Cristo

Ecco perché la morale cristiana è concepita come “sequela, imitazione e identificazione con Cristo”. Espressioni come “vivere in Cristo”, “in Cristo siamo nuova creatura”, etc non sono per noi semplici metafore, ma esprimono delle realtà soprannaturali che la grazia di Dio produce nell’uomo che riceve il Battesimo. Ecco perché l’enciclica Veritatis Splendor al n.19 così recita: «Seguire Cristo è il fondamento essenziale e originale della morale cristiana. Non si tratta soltanto di mettersi in ascolto di un insegnamento e di accogliere nell’obbedienza un comandamento: si tratta, più radicalmente, di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino».

 

La chiamata universale alla santità

Come conseguenza di questa nuova concezione dell’uomo, della sua dignità soprannaturale che lo fa essere figlio di Dio, in virtù della nuova vita in Cristo ricevuta nel Battesimo, è logico che la condotta morale del cristiano non abbia come traguardo soltanto una vita onesta, né un’esistenza corretta dal punto di vista etico, ma che egli è obbligato a comportarsi in modo tale che tutte le sue azioni lo portino a identificarsi con Cristo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Ogni cristiano è tenuto non solo ad evitare il male, ma anche a perseguire la propria perfezione, a raggiungere la verità del proprio essere in Cristo, aiutato dalla grazia e dai sacramenti. Questo cammino viene chiamato nella Chiesa “vocazione universale alla santità” (cfr. LG cap.V; AA n.4). Questa vocazione alla santità è ben sintetizzata nel discorso della Montagna (Mt 5) e soprattutto nella “magna charta” della morale evangelica (VS, 15), le Beatitudini, che si concludono con la massima «siate voi perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Le Beatitudini sono il modello di vita al quale ogni cristiano deve aspirare, dato che, dovendo imitare Gesù Cristo, trova in esse l’autentico ritratto della vita di Gesù.

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La chiesa si trova nella periferia orientale di Napoli, nel quartiere denominato San Giovanni a Teduccio; una zona di Napoli che, pur non essendo molto vasta (2.35 km²), sino al 1926 era comune autonomo, sorto sulla antica Via delle Calabrie.