INCONTRO AL GRUPPO FAMIGLIA SULLA SUPERBIA: 17 NOVEMBRE 2019

church article

INTRODUZIONE

Nell’Angelus del 10 dicembre 2017 (II domenica di Avvento), commentando il profeta Isaia, papa Francesco avverte: «Ogni monte e ogni colle siano abbassati» (40,4), esorta ancora Isaia. I monti e i colli che devono essere abbassati sono l’orgoglio, la superbia, la prepotenza. Dove c’è orgoglio, dove c’è prepotenza, dove c’è superbia non può entrare il Signore perché quel cuore è pieno di orgoglio, di prepotenza, di superbia. Per questo, dobbiamo abbassare questo orgoglio. Dobbiamo assumere atteggiamenti di mitezza e di umiltà, senza sgridare, ascoltare, parlare con mitezza e così preparare la venuta del nostro Salvatore, Lui che è mite e umile di cuore (cfrMt 11,29)”.

 

 

DEFINIAMO SUPERBIA

Secondo san Tommaso, la superbia è “una smodata, disordinata presunzione nella propria superiorità ed eccellenza rispetto agli altri”.

    1. Questa boria può essere semplice vanità o vanagloria,
    2. può diventare orgoglio smodato
    3. oppure peggio ancora può trasformarsi in vera e propria arroganza quando si eleva sopra sé stesso in una sfida a Dio e agli altri.
    4. Fondamentalmente, nel suo livello più profondo, la superbia è una vera e propria malattia dell’anima, o come dice il teologo Andrea Gennaro (nell’Enciclopedia Ecclesiastica) “una tumefazione della mente e dell’anima”: quest’altezzosità
      1. ingigantisce le proprie qualità,
      2. se ne attribuisce altre inesistenti,
      3. s’inorgoglisce per ciò che ha ricevuto naturalmente o per grazia,
      4. si svincola da ogni soggezione e rispetto,
      5. aspira a dignità e oneri supremi e immeritati,
      6. si ribella infine a Dio stesso, negando ogni trascendenza rispetto alle proprie potenzialità”.

 

IN FAMIGLIA

Intuiamo facilmente che nella vita di coppia, nel rapporto con i figli

    1. la superbia va a minare alla base ogni dinamica relazionale, perché il giudizio del superbo viene percepito costantemente come un impedimento alla relazione affettiva libera.
    2. Il superbo si reputa per natura migliore degli altri, senza difetti e limiti, tende a suscitare sensi di colpa, prevarica, svilisce inesorabilmente chi ha vicino (coniuge, figli), e questi tenderanno a sentirsi costantemente inadeguati.
    3. Egli impedisce anche ai figli di crescere con equilibrio nella loro identità maschile o femminile; i figli, infatti, tendono ad identificarsi nel genitore del loro stesso sesso, e si percepiranno sviliti a loro volta se si identificano col coniuge del superbo.
    4. Può accadere che la superbia sia condivisa da entrambi i coniugi, si assiste allora all’idolatria della coppia verso sé stessa. Questa coppia si sente diversa da tutti gli altri, migliore, e finisce per isolarsi, o a concedersi solo a chi può meritarne la presenza e la compagnia. Il suo parlare è per lo più improntato al giudizio e alla critica.
    5. Questo vizio va a contaminare alla radice anche il rapporto col trascendente, perché il superbo divinizza sé stesso prendendo il posto di Dio. 
    6. Il danno spirituale che arreca questo vizio è la perdita del senso del peccato, dal momento che non l’amore, bensì il proprio comportamento diventa il metro per giudicare tutto e tutti.  
    7. Il superbo tende a esigere da Dio che si comporti come lui desidera e pensa, e si adirerà con il Creatore se non otterrà ciò che ritiene giusto, tanto più che pensa di meritare quanto ha invece come dono.

 

LE FORME DELLA SUPERBIA

La superbia, quindi, è l’appetito disordinato della propria eccellenza.

Secondo san Tommaso la superbia non è solo un peccato capitale, ma è addirittura la regina e la madre di tutti i peccati, essendo la loro radice e il loro principio. Fu il peccato degli angeli e del primo uomo.

Benché le sue forme siano svariate, S. Tommaso, seguendo S. Gregorio, ne indica quattro principali:

  1. Attribuire a sé stessi i beni che si posseggono;
  2. Credere che li abbiamo ricevuti in vista dei nostri meriti;
  3. Vantarsi dei beni che non si posseggono;
  4. Desiderare di apparire come unico possessore di tali beni, con disprezzo degli altri.

 

LA SUPERBIA DIPINTA

Il perugino Cesare Ripa in un libro dal titolo Iconografia descrive la superbia in questo modo: “Donna bella, e altera, vestita nobilmente di rosso, coronata d’oro, di gemme in gran copia, nella destra tiene un pavone, e nella sinistra uno specchio, nel quale miri, e contempli sé stessa”.

Presentiamo alcuni esempi:

  • Jacques CALLOT, Superbia, Incisione, XV secolo, Villa Mylius Vigoni a Menaggio (Como)
  • JACOB MATHAM, Superbia, Incisione, 15851589
  • LORENZETTI, Il buono e il cattivo governo, affresco, Palazzo Pubblico di Siena, 13381340.
  • BOSCH, I sette vizi capitali, olio su tavola, 15001525, Museo del Prado (Madrid)

Presentiamo ad es. l’allegoria di Ambrogio Lorenzetti dal titolo “Il buono e il cattivo governo” (Siena, 1338-1340), dove si presentano le virtù che devono coltivare dei saggi governanti e i vizi da cui devono guardarsi, e dove l’artista descrive il cattivo governo della Tirannia con la personificazione della Superbia, dell’Avarizia e della Vanagloria.

Oppure vediamo il quadro “Sette peccati capitali” (Madrid, 1480-1485) del fiammingo Hieronymus Bosch, dove la superbia è dipinta più o meno come elegante, giovane, raffinata, che si mira in uno specchio, strumento diabolico di vanità, sorretto appunto da un diavolo: da lato un baule pieno di gioielli, destinati a sostenere e ad abbellire l’ostentazione vanitosa e l’immodestia della persona orgogliosa.

 

LA SUPERBIA IN ALCUNI BRANI FAMOSI DELLA BIBBIA

  1. All’ombra dell’albero della conoscenza del bene e del male: la superbia nell’AT.
  1. Se rileggiamo il brano del peccato originale(Gen 3) scopriamo che sotto quell’albero l’uomo non è costretto da una legge che lo blocca o lo obbliga, bensì è dotato dell’autonomia della sua libertà. Nella pienezza della sua indipendenza, strutturale alla sua stessa creazione, decide di afferrare quel frutto e cibarsene, idealmente determinando lui stesso la nuova morale, cioè quali siano il bene e il male. Non per nulla la grande illusione diabolica che lo attrae è quella di sostituirsi a Dio: “Quando voi ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male” (Gn 3,5). La superbia, dal punto di vista teologica, è il voler essere come Dio, arbitri della morale.
  2. L’intero capitolo 3 della Genesi e la sequenza narrativa successiva (l’assassinio di Abele, il peccato dei giganti, il diluvio, il delitto di Cam-Canaan, la torre di Babele) hanno lo scopo di illustrare i risultati deleteri di questa assunzione orgogliosa di responsabilità da parte dell’uomo.
  3. C’è, dunque, un’autonomia che è voluta da Dio stesso ed è la qualità specifica della creatura umana libera e cosciente. Ma c’è un’autonomia che si eleva sopra sé stessa sfidando Dio, rompendo il limite creaturale, violando ogni confine morale ed è appunto la superbia.
  4. È quell’atteggiamento che i greci chiameranno HYBRIS, la sfida violente nei confronti della divinità, lanciata varcando le frontiere che separano Dio e creatura. La Bibbia offre vari esempi di questa superbia radicale, blasfema, dissacratoria.
  5. Ricordiamo il principe di Tiro, potenza commerciale primaria nell’ambito del mediterraneo, di cui si dice nel libro del profeta Ezechiele: “Il tuo cuore si è insuperbito e hai detto: io sono un dio, sono assiso su un seggio divino in mezzo ai mari! E invece tu sei uomo e non un dio! Eppure hai voluto uguagliare la tua mente a quella di Dio” (28,2).
  6. Anche di altre nazioni si dice la stessa cosa: di Edom “La tua arroganza, la superbia del tuo cuore ti ha indotto in errore” (Ger 49,16);
  7. o Moab “il grande orgoglioso, dotato di superbia, tracotanza, alterigia e altezzosità di cuore” (Ger 48,29);
  8. oppure quando si parla nei Maccabei di Antioco IV Epifane o del suo generale Eliodoro.
  9. Forse il testo più famoso è quello che parla di Babilonia, nel suo periodo imperiale, desiderosa di perforare il cielo con la sua torre templare (ziqqurrat); al suo re sono attribuite queste parole dal profeta Isaia: “Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il mio trono, risiederò sul monte dell’assemblea divina… Salirò sulle regioni che sovrastano le nubi, mi farò uguale all’Altissimo” (14,13-14). Ma subito arriva veemente la risposta del profeta: “E invece, sei stato precipitato negli inferi, scaraventato nelle profondità degli abissi” (Is 14,15). E qui viene chiamato LUCIFERO, che era un appellativo che i re d’Oriente si davano, per indicare la stella dell’aurora, la più vivida e brillante. E Gesù interpreterà questo passo biblico riferendolo a quello che noi chiamiamo Satana, quando dirà: “Vedevo Satana cadere dal cielo come folgore” (Lc 10,18). Ma il peccato della superbia agisce in tutti, anche nei popoli; forse per questo lo stesso Cristo applica la stessa immagine anche ad una città, quando dice: “E tu Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai” (Mt 11,23).

 

  1. Il fariseo e il pubblicano al tempio: la superbia nel NT.

La superbia attecchisce in tutti, essendo appunto una drammatica componente adamitica. Anche Israele ne è infetto.

  1. Per esempio, quando giunge nella terra promessa, dimentica che essa è dono di Dio e dice: “La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno procurato queste ricchezze… La nostra mano ha vinto, non è il Signore che ha operato tutto questo” (Dt8,14.17; 32,27).
  2. Il ritratto più efficace della superbia è disegnato da Gesù nelle parabole. Nel tempio, durante una preghiera, si confrontano due figure: quella di un peccatore umile e sincero che, stando a distanza e non osando neppure alzare gli occhi, si batte il petto; l’altro personaggio, un fariseo, che tronfio di sé in piedi prega disprezzando l’altro. È l’atteggiamento di chi si crede giusto e disprezza gli altri: e Gesù lo ha già condannato nel discorso della montagna parlando di quelli che ostentano la loro preghiera e la loro pietà per essere lodati e visti dagli uomini.

 

In realtà la superbia, come radice, è in ognuno di noi; nessuno può fare a meno del proprio io; ed essendo la radice di ogni altra colpa, per estirparla ci vuole un lavoro di ascesi molto profondo. Non si può immaginare, quindi, un uomo e una donna che ne siano del tutto privi, ad eccezione di Gesù Cristo e della Vergine Maria, ovviamente. Lo stesso Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco, in Umano, troppo umano (1878) scrive: “Chi nega la superbia in sé, la possiede di solito in forma così brutale, da chiudere istintivamente gli occhi di fronte a essa per non doversi disprezzare”.

Ascoltiamo un brano tratto da un discorso di papa Francesco all’udienza generale del 10 aprile 2019 (catechesi sul Padre nostro): L’atteggiamento più pericoloso di ogni vita cristiana qual è? È l’orgoglio. È l’atteggiamento di chi si pone davanti a Dio pensando di avere sempre i conti in ordine con Lui: l’orgoglioso crede che ha tutto al suo posto. Come quel fariseo della parabola, che nel tempio pensa di pregare ma in realtà loda sé stesso davanti a Dio: “Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri”. E la gente che si sente perfetta, la gente che critica gli altri, è gente orgogliosa. Nessuno di noi è perfetto, nessuno. Al contrario il pubblicano, che era dietro, nel tempio, un peccatore disprezzato da tutti, si ferma sulla soglia del tempio, e non si sente degno di entrare, e si affida alla misericordia di Dio. E Gesù commenta: «Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato» (Lc 18,14), cioè perdonato, salvato. Perché? Perché non era orgoglioso, perché riconosceva i suoi limiti e i suoi peccati.

Davanti a Dio siamo tutti peccatori e abbiamo motivo di batterci il petto – tutti! – come quel pubblicano al tempio. San Giovanni, nella sua prima Lettera, scrive: «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1 Gv 1,8). Se tu vuoi ingannare te stesso, dì che non hai peccato: così ti stai ingannando.

Siamo debitori anzitutto perché in questa vita abbiamo ricevuto tanto: l’esistenza, un padre e una madre, l’amicizia, le meraviglie del creato... Anche se a tutti capita di attraversare giorni difficili, dobbiamo sempre ricordarci che la vita è una grazia, è il miracolo che Dio ha estratto dal nulla.

In secondo luogo, siamo debitori perché, anche se riusciamo ad amare, nessuno di noi è capace di farlo con le sue sole forze. L’amore vero è quando possiamo amare, ma con la grazia di Dio. Nessuno di noi brilla di luce propria. C’è quello che i teologi antichi chiamavano un “mysteriumlunae” non solo nell’identità della Chiesa, ma anche nella storia di ciascuno di noi. Cosa significa, questo “mysteriumlunae”? Che è come la luna, che non ha luce propria: riflette la luce del sole. Anche noi, non abbiamo luce propria: la luce che abbiamo è un riflesso della grazia di Dio, della luce di Dio. Se ami è perché qualcuno, all’esterno di te, ti ha sorriso quando eri un bambino, insegnandoti a rispondere con un sorriso. Se ami è perché qualcuno accanto a te ti ha risvegliato all’amore, facendoti comprendere come in esso risiede il senso dell’esistenza.

E questo è il mistero della luna: amiamo anzitutto perché siamo stati amati, perdoniamo perché siamo stati perdonati. E se qualcuno non è stato illuminato dalla luce del sole, diventa gelido come il terreno d’inverno.

Come non riconoscere, nella catena d’amore che ci precede, anche la presenza provvidente dell’amore di Dio? Nessuno di noi ama Dio quanto Lui ha amato noi. Basta mettersi davanti a un crocifisso per cogliere la sproporzione: Egli ci ha amato e sempre ci ama per primo.

 

 

LA SUPERBIA DESCRITTA A CERCHI CONCENTRICI

La superbia è il primo e fondamentale vizio capitale, capace di una sua fiammeggiante impetuosità e drammaticità; non di rado però si presenta con un profilo ridicolo e fin macchiettistico e può generare comicità e sarcasmo. Tutti nella vita abbiamo forse incontrato almeno una volta persone tronfie, pompose, che per dire una banalità devono imbandire tovaglie e tovaglioli, convinte come sono che il mondo non sappia cosa si perde non ascoltando e non seguendo le loro teorie e non apprezzando le loro opere.

Elias Canetti, scrittore ebreo bulgaro-tedesco, nel libro Un regno di matite, così li descrive: “Dovunque egli arrivi, il superbo si mette a sedere e tira fuori dalla valigia la sua superiorità”. Mentre il regista e sceneggiatore Marcello Marchesi parlandone nei suoi 100 proverbi scrive: “La superbia andò a cavallo e tornò in yacht”.

Per presentare la superbia andremo per gradi: inizieremo da alcune espressioni di superbia più lievi, quasi ridicole, per poi giungere a descrivere il caso di persone veramente pericolose. Ci aiuteremo anche citando delle immagini letterarie abbastanza facili, alcune delle quali forse sono anche conosciute.

  1. Allargando la ruota del pavone: la VANITÀ

Qui si tratta di persone boriose che allargano la ruota come il pavone e gonfiano il collo come un gallo che canta, inciampando però nella ridicolaggine, rivelandosi più buffe che pericolose, più patetiche che offensive. A tal riguardo ricordiamo l’espressione usata dalla scrittrice ottocentesca George Eliot che lo descrive “come un gallo che pensa che il sole sorga per sentirlo cantare”.

 

  1. La lumachella della VANAGLORIA

Qui si presenta un primo problema: a molti piace la lode. Ma il rischio è sempre quello di “farsi bello con le penne del pavone” (San Girolamo). Qui si profila, infatti, il peccato di vanagloria, giacché, come dice Plinio il Giovane “la lode è quanto di più dolce si possa ascoltare”. Ecco quindi un aspetto “modesto” della superbia: la lode richiesta e dispensata, vero e proprio nutrimento della VANITÀ. Nelle sue Novelle (1554) Matteo Bandello si domandava retoricamente: “chi è colui che è così stoico e alieno da passioni, a cui le proprie lodi non siano care, e che con diletto non le senta?”.

Ci siamo così accostati a un primo cerchio della superbia, il meno incandescente, quello della VANAGLORIA, dell’IMMODESTIA, del SUSSIEGO. Per descriverla meglio citiamo alcuni versi della poesia “Lumaca” di TRILUSSA: “La lumachella de la Vanagloria, / ch’era strisciata sopra un obbelisco, / guardò la bava e disse: Già capisco / che lascerò un’impronta ne la Storia”.

 

Attenzione però, la debolezza della vanità lascia una macchia in tutte le anime: l’onda dolce di un complimento, la luce dorata di un successo, la convinzione di possedere doti di alto tenore si infiltrano in ogni coscienza; ma l’antidoto a tutto questo è il REALISMO: è quest’ultimo che ci tiene con i piedi per terra e ci evita il brusco risveglio dall’orgoglio, risveglio causato dalla scoperta di un’ironia beffarda alle nostre spalle o da un incidente che ci riporta a terra fra i mortali, diradando i sogni di gloria. Ricordiamo sempre il monito di Gesù: “Guai quando tutti diranno bene di voi! Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti” (Lc 6,26).

 

  1. L’umiltà pelosa (L’ORGOGLIO)

Nel descrivere la superbia non possiamo tacere una sua devianza: la cosiddetta “umiltà pelosa” o ipocrisia. La presenta molto bene il poeta inglese Samuel Taylor Coleridge nell’opera I pensieri del demonio (1830): “Il demonio sorrise, perché il suo peccato prediletto è l’orgoglio che scimmiotta l’umiltà”.

Bisogna infatti distinguere tra superbia e orgoglio. La superbia è uno dei sette vizi capitali, il più grave che esiste, la radice di tutti i vizi. L’orgoglio può avere sia una dimensione positiva che negativa. È positiva se si parla della necessaria autostima che ognuno deve avere di sé; quella consapevolezza delle proprie capacità, delle doti ricevute e acquisite, delle competenze, dei carismi spirituali. Secondo il filosofo inglese David Hume nella sua Dissertazione sulle passioni (1757) l’orgoglio è il rispetto di quei doni che creano una piacevole impressione della mente quando siamo soddisfatti di noi stessi per la nostra virtù, bellezza, ricchezza o potere”.

Quando però questo senso di stima nei propri confronti è eccessivo anche a danno degli altri allora si può cadere nel vizio della superbia.

La medicina contro questo male è l’UMILTÀ, che però non è l’opposto dell’orgoglio, non è sfiducia, scoraggiamento e autodisprezzo, cose che non dovrebbero mai essere nella vita di una persona. La vera umiltà è saggezza e consapevolezza, che sa amare sé stessi e pertanto sa amare anche il prossimo come se stessi (Ama il prossimo tuo come te stesso).

Esiste però anche una falsa umiltà, un’umiltà ipocrita, orgogliosa, pelosa. Infatti, Montaigne nel Cinquecento diceva “si può essere umili per orgoglio”. Esiste infatti un’umiltà che cela sotto un manto virgineo un sottile disprezzo per tutti coloro che non sono altrettanto umili. L’umile ipocrita è convinto che sia giusto strisciare per terra senza dignità scandalizzandosi degli altri così diversi da lui, umile emblema di ascesi.

 

  1. L’AMBIZIONE ha occhi di bronzo

La superbia si può anche presentare sotto forma di ambizione. L’ambizione può avere delle sfumature bonarie da millantatore, come nel caso degli adulatori per interesse personale che esaltano chi è convinto di possedere qualità, beandosi della propria vanità. Ma può avere anche tratti feroci, pronta all’astuzia e alla crudeltà, come dice il poeta Luis de Golgora y Argote: “Ahi, ambizione umana, / pavone sospettoso che con cento occhi / oggi distilli il pianto e il disinganno!” (1611).

 

  1. la SUPERBIA vera e propria

Parliamo adesso della superbia vera e propria, con tutta la sua energia nefasta che si ramifica nel cuore e nella mente di tutti. Lo descrive limpidamente l’Agamennone di Shakespeare nella tragedia Troilo e Cressida (1601-02): “La superbia è lo specchio di sé stessi, è tromba e cronaca di sé stessi”.

Parente stretto della superbia è il POTERE nella sua forma più oscura di dominio, di padronanza, di signoria nei confronti di chi si vuol tenere in propria balia, alla mercé dei gusti e dei voleri personali: e questo può verificarsi in tutti gli ambiti, non solo quello dei tiranni della storia, ma anche le più semplici sopraffazioni quotidiane nella vita sociale, nel lavoro, nelle istituzioni e nelle stesse famiglie.

 

 

Cerchiamo ora quali possono essere i segni di questa malattia dell’anima:

  1. EGOLATRIA: cioè l’idolatria di sé stessi. Il superbo mette sé stesso al centro di tutto l’universo. Anche Dio passa in secondo piano. Ma quando siamo a questo livello di superbia c’è anche una perdita del senso della misura, un’incapacità di distinguere fra l’io e Dio, c’è altezzosità, l’essere pieni di sé, i valori cambiano, i rapporti s’infrangono e ci si vota a un isolamento tracotante. Scrive con efficacia il poeta Niccolò Tommaseo ne Il mistero (1851): “Chi nell’orgoglio suo rinserra, / il ciel gli è tenebre, fango la terra, / e belve gli uomini, e insidia il vero, / e a lui carnefice il suo pensiero”.
  2. AUTOREFERENZIALITÀ: Qui si parla di una particolare sfumatura dell’ALTERIGIA, una forma di arroganza propria di certi intellettuali che si rinchiudono nel bozzolo del loro sapere sprezzando la vile plebe che li circonda. Ma questo può accadere anche nel nostro quotidiano: quante volte ci annoiamo sentendo parlare gli altri, senza ricordare quante volte anche noi abbiamo ammorbato gli altri con le nostre storie, i nostri giudizi, le nostre considerazioni. Solo che, quando si parla di sé non ci si accorge più della noia altrui, presi dall’implicita convinzione di essere il centro del mondo, dal sottile piacere di pavoneggiarsi, di rivelarsi come saggi dispensatori di consigli, dotati di un’esperienza unica. Sarebbe utile seguire il consiglio di un autore del Seicento, Francois de la Rochefoucauld: “l’estremo piacere provato nel parlare di noi stessi deve farci temere di non darne affatto a chi ci ascolta”. Questo genera in noi scorte abbondanti di SACCENTERIA, SENTENZIOSITÀ e SUPPONENZA.
  3. Altri segni della superbia li troviamo articolati nel vocabolario della lingua italiana, se leggiamo i suoi sinonimi: la parola è composta dalla preposizione SUPER e dal relativo avverbio SUPRA che dice qualcosa che sta sopra, che incombe sul resto come superiore, eccezionale, straordinario. In sé questo potrebbe essere positivo se si fa riferimento all’eccellenza; ma diventa negativo quando la superiorità che si cerca di raggiungere si fa aggressiva, sprezzante, prevaricatrice.
  4. Altri termini sono AMBIZIONE, SUSSIEGO, IMMODESTIA, VANITÀ, VANAGLORIA, SACCENTERIA.
  5. Un’altra tonalità la troviamo quando si declina come: ORGOGLIO, BORIA, ALTEZZOSITA, ALBAGIA, SUPPONENZA, INSOLENZA.
  6. Entrando poi nel nucleo incandescente della superbia troviamo termini come ALTERIGIA, ARROGANZA, TRACOTANZA, SOPRAFFAZIONE, IATTANZA, PREVARICAZIONE, OSTINAZIONE, PROTERVIA, PREPOTENZA.
  7. Solitamente quando si arriva a questo livello di superbia (quello più incandescente) vengono in soccorso anche altri vizi capitali, quali l’ira e l’invidia. Infatti, sarà il pensatore Umberto Galimberti a scrivere: “Fra invidia e superbia c’è una sottile parentela dovuta al fatto che il superbo, se da un lato tende a superare gli altri, quando a sua volta viene superato non si rassegna, e l’effetto di questa non rassegnazione è l’invidia”.

 

LA SUPERBIA NEL LIBRO DEI PROVERBI

  1. La correzione disprezzata: “chi rifiuta la correzione disprezza sé stesso, chi ascolta il rimprovero acquista senno” (Prv 15,32)

Il principio della superbia è non essere docili. È un atteggiamento infantile, tipico dei ragazzini.

  1. Non metterti ai primi posti: “non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire “Sali quassù” piuttosto che essere umiliato davanti a uno superiore” (Prv 25,6-7). La superbia il più delle volte nasce da un’immagine falsata di sé stessi; si nutre, quindi, di immaginazione, credersi già quello che si vorrebbe essere. Questa proiezione trasforma la percezione della realtà e la superbia è sostanzialmente la vittoria dell’immagine sulla realtà.
  2. Cercare pretesti per primeggiare:“il superbo arrogante si chiama beffardo, egli agisce nell’eccesso dell’insolenza” (Prv 21,24); “L’empio assume un’aria sfrontata l’uomo retto controlla la propria condotta” (Prv 21,29); “Chi si tiene appartato cerca pretesti e con ogni mezzo attacca brighe” (Prv 18,1). Purtroppo, una persona invaghita di sé è capace di tutto; pur di tenere in vita la propria immagine apprende l’arte di una retorica che agita parole di fuoco. Beffarda e arrogante, la superbia non guarda in faccia nessuno: si specchia e basta.
  3. L’umiltà:“un uomo di poco conto che basta a sé stesso vale più di un uomo esaltato a cui manca il pane” (Prv 12,9). All’immagine di sé che rende superbi è preferibile la reale misura delle cose che è dietro le apparenze. L’UMILE trova la grandezza nelle piccole cose, laddove si nasconde: “Chi coltiva la sua terra si sazia di pane, chi insegue chimere è privo di senno” (Prv 12,11)
Devi essere registrato per commentare l'articolo. Registrati qui oppure effettua il login.
Multimedia
FOTO
VIDEO

INFO SULLA PARROCCHIA

La chiesa si trova nella periferia orientale di Napoli, nel quartiere denominato San Giovanni a Teduccio; una zona di Napoli che, pur non essendo molto vasta (2.35 km²), sino al 1926 era comune autonomo, sorto sulla antica Via delle Calabrie.