- Introduzione
Dal 24 al 26 settembre 2019 si è svolto a Ponticelli il primo Convegno diocesano unitario di formazione organizzato dal settore Evangelizzazione e Catechesi, dal titolo «Andate e annunciate. Catechisti, insegnati di religione, animatori missionari e dei Centri del Vangelo: la chiesa di Napoli vive la missione alla luce dell’opera di Misericordia “Visitare i carcerati”».
Obiettivo di questo convegno è stato quello di vivere unitariamente l’appuntamento di formazione per il nuovo anno pastorale, in occasione del mese missionario speciale indetto dal santo Padre e nel solco del percorso diocesano teso a valorizzare le opere di misericordia. Siamo stati aiutati a riflettere sul senso e sulla specificità della missionarietà della Chiesa, sulla nostra identità di operatori pastorali e di insegnanti, chiamati a promuovere un servizio ministeriale e professionale nell’orizzonte e nello spirito dell’evangelizzazione.
Ho accennato al mese missionario: tutti sanno che il mese di ottobre è particolarmente dedicato all’animazione missionaria nelle nostre comunità; quest’anno il santo padre, papa Francesco, ha indetto un Mese Missionario Straordinario “al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale”. “L’attività missionaria rappresenta ancor’oggi la massima sfida per la Chiesa”, ricorda papa Francesco nell’Evangelii gaudium. E poi aggiunge: “Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa”.
Il tema scelto per questo mese è il seguente: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel Mondo”. Battezzati e inviati: questo significa che la missione riguarda tutti noi, nessuno escluso. Alcuni perché chiamati alla cosiddetta missio ad gentes, cioè ai popoli che vivono in quelle che un tempo venivano chiamate “terre di missione”. Ma in realtà il papa si rivolge a tutti i battezzati perché sentano la chiamata all’evangelizzazione e alla santità soprattutto a casa propria, sul proprio posto di lavoro, nell’esercizio della propria ministerialità ordinaria, in parrocchia così come a scuola e in tutti gli ambiti della vita quotidiana.
Il santo padre ha scritto un messaggio in occasione del mese missionario mondiale. Ne evidenzio alcuni passaggi:
- Anzitutto, il santo padre ci ricorda che questo mese sarà un tempo straordinario di missionarietà per commemorare il centenario della promulgazione della Lettera apostolica Maximum illud del Papa Benedetto XV (30 novembre 1919);
- Il titolo del presente messaggio è uguale al tema dell’Ottobre missionario: Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo. Questo perché “celebrare questo mese ci aiuterà in primo luogo a ritrovare il senso missionario della nostra adesione di fede a Gesù Cristo, fede gratuitamente ricevuta come dono nel Battesimo”. Su questo ultimo elemento il papa inizia il suo commento:
- La nostra appartenenza filiale a Dio non è mai un atto individuale ma sempre ecclesiale:
- dalla comunione con Dionasce una vita nuova insieme a tanti altri fratelli e sorelle. E questa vita divina non è un prodotto da vendere – noi non facciamo proselitismo – ma una ricchezza da donare, da comunicare, da annunciare: ecco ilsenso della missione.
- Gratuitamente abbiamo ricevuto questo dono e gratuitamente lo condividiamo (cfrMt 10,8), senza escludere nessuno.
- Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi arrivando alla conoscenza della verità e all’esperienza della sua misericordia grazie allaChiesa, sacramento universale della salvezza (cfr1 Tm 2,4; 3,15; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48).
- La Chiesa è in missione nel mondo;in questa missione ci aiutano le virtù teologali:
- la fede in Gesù Cristo ci dona la giusta dimensione di tutte le cose facendoci vedere il mondo con gli occhi e il cuore di Dio;
- la speranza ci apre agli orizzonti eterni della vita divina di cui veramente partecipiamo;
- la carità, che pregustiamo nei Sacramenti e nell’amore fraterno, ci spinge sino ai confini della terra (cfrMi 5,3; Mt 28,19; At 1,8; Rm 10,18).
- La nostra appartenenza filiale a Dio non è mai un atto individuale ma sempre ecclesiale:
- Una Chiesa in uscita fino agli estremi confini richiede conversione missionaria costante e permanente. Sia uomo di Dio chi predica Dio (cfr Lett. ap. Maximum illud).
- È un mandato che ci tocca da vicino: io sono sempre una missione; tu sei sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita. Nessuno è inutile e insignificante per l’amore di Dio. Ciascuno di noi è una missione nel mondo perché frutto dell’amore di Dio.
- Questa vita ci viene comunicata nel Battesimo… nel Battesimo ci è data l’originaria paternità e la vera maternità: non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come madre (cfr San Cipriano, L’unità della Chiesa, 4).
- Così, nella paternità di Dio e nella maternità della Chiesa si radica la nostra missione, perché nel Battesimo è insito l’invio espresso da Gesù nel mandato pasquale: come il Padre ha mandato me, anche io mando voi pieni di Spirito Santo per la riconciliazione del mondo (cfrGv 20,19-23; Mt 28,16-20).
- Al cristiano compete questo invio, affinché a nessuno manchi l’annuncio della sua vocazione a figlio adottivo, la certezza della sua dignità personale e dell’intrinseco valore di ogni vita umana dal suo concepimento fino alla sua morte naturale.
- Il dilagante secolarismo, quando si fa rifiuto positivo e culturale dell’attiva paternità di Dio nella nostra storia, impedisce ogni autentica fraternità universale che si esprime nel reciproco rispetto della vita di ciascuno. Senza il Dio di Gesù Cristo, ogni differenza si riduce ad infernale minaccia rendendo impossibile qualsiasi fraterna accoglienza e feconda unità del genere umano.
- L’universale destinazione della salvezza offerta da Dio in Gesù Cristo condusse Benedetto XV ad esigere il superamento di ogni chiusura nazionalistica ed etnocentrica, di ogni commistione dell’annuncio del Vangelo con le potenze coloniali, con i loro interessi economici e militari. Nella sua Lettera apostolica Maximum illud il Papa ricordava che l’universalità divina della missione della Chiesa esige l’uscita da un’appartenenza esclusivistica alla propria patria e alla propria etnia. L’apertura della cultura e della comunità alla novità salvifica di Gesù Cristo richiede il superamento di ogni indebita introversione etnica ed ecclesiale. Anche oggi la Chiesa continua ad avere bisogno di uomini e donne che, in virtù del loro Battesimo, rispondono generosamente alla chiamata ad uscire dalla propria casa, dalla propria famiglia, dalla propria patria, dalla propria lingua, dalla propria Chiesa locale. Essi sono inviati alle genti, nel mondo non ancora trasfigurato dai Sacramenti di Gesù Cristo e della sua santa Chiesa. Annunciando la Parola di Dio, testimoniando il Vangelo e celebrando la vita dello Spirito chiamano a conversione, battezzano e offrono la salvezza cristiana nel rispetto della libertà personale di ognuno, in dialogo con le culture e le religioni dei popoli a cui sono inviati. La missio ad gentes, sempre necessaria alla Chiesa, contribuisce così in maniera fondamentale al processo permanente di conversione di tutti i cristiani. La fede nella Pasqua di Gesù, l’invio ecclesiale battesimale, l’uscita geografica e culturale da sé e dalla propria casa, il bisogno di salvezza dal peccato e la liberazione dal male personale e sociale esigono la missione fino agli estremi confini della terra.
Tale necessità - riflettere sulla missionarietà – si pone in sinergia con il cammino diocesano teso ad approfondire le opere di misericordia corporali, nato dall’intuizione del nostro Arcivescovo, che all’indomani del Giubileo per Napoli ha voluto richiamare tutti i fedeli a camminare sulle orme di Cristo, che con amore si fa carne nel vissuto di ciascuno di noi, senza fare distinzione di persone: essere missionari attraverso una misericordia operosa che favorisce un’evangelizzazione che diventa anche carità. Quest’anno siamo chiamati a farci prossimi ai nostri fratelli che vivono nelle carceri: come dice il nostro Cardinale nella sua lettera pastorale: “Senza preclusioni ci interrogheremo su un altro tipo di fragilità, quella etica, che sebbene in forme diverse, accomuna anch’essa l’intera umanità”.
- Ottobre 2019: Mese Missionario Straordinario
Motivazioni: rinnovare l’impegno missionario della Chiesa, cioè aiutare tutta la Chiesa a mettere in pratica quella “conversione missionaria” di cui Papa Francesco ci ha parlato nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”.
Significato: riscoprire che la vocazione missionaria non è legata ad una speciale consacrazione, ma è radicata nel sacramento del Battesimo ed è comune a tutti i cristiani. Ogni cristiano è “chiamato” a testimoniare la sua fede e a comunicare l’amore di Dio per ogni uomo.
- Battezzati e Inviati
Significativo è il titolo che il Papa ha scelto per questo Mese Missionario Straordinario: “Battezzarti e Inviati”. Non si tratta di due aspetti diversi della vita cristiana, ma di due elementi inseparabili, due facce della stessa medaglia.
“Battezzati”: riscoprire il significato del nostro battesimo. Radicati in Cristo. Nella preghiera di unzione con l’olio del Crisma si dice che siamo “configurati a Cristo, Sacerdote, Re e Profeta”.
- configurati a Cristo Sacerdote: chiamati ad essere come Lui e con Lui mediatori tra Dio e gli uomini; mediatori dell’amore di Dio per ogni uomo; chiamati a far percepire, attraverso i nostri gesti e le nostre azioni, la tenerezza di Dio, sempre viva in mezzo a noi.
- configurati a Cristo Re: anche noi investiti di quella regalità che fa dire a Gesù, davanti a Pilato: “Tu lo dici, – sono re – ma il mio regno non è di questo mondo”; quella regalità che lo porta ad affermare “non sono venuto per essere servito, ma per servire”; quella regalità che lo porta ad inginocchiarsi davanti ai suoi discepoli ed a lavare loro i piedi. Siamo chiamati ad essere come Lui e con Lui “servitori” dei nostri fratelli, capaci di prenderci cura dei più deboli e dei poveri.
- configurati a Cristo Profeta: chiamati ad essere come Lui e con Lui annunciatori del Regno di Dio come vera speranza per ogni uomo, ma anche come realtà già presente in mezzo a noi, di cui siamo chiamati ad indicarne i segni concreti.
“Inviati”:
- inviati da chi? – Ogni battezzato è destinatario di quel mandato di Gesù ai suoi discepoli: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 19-20).
- Inviati da Gesù Cristo per una missione evangelica
- accompagnati da Lui “tutti i giorni” attraverso il dono dello Spirito Santo
- per compiere il disegno del Padre, che è la salvezza di tutti gli uomini.
Pertanto possiamo dire: Inviati “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”: la missione che ci è stata affidata nel Battesimo è una missione trinitaria.
- Inviati a chi? – inviati all’umanità: “fate discepoli tutti i popoli”; inviati prima di tutto a quell’umanità più dimenticata, sofferente e povera fatta di anziani, migranti, gente senza fissa dimora, zingari, disabili, persone con problemi economici o altre difficoltà; inviati ad incontrare l’umanità nelle “periferie” del mondo, non solo nelle periferie geografiche, ma anche nelle periferie esistenziali. “I poveri sono il vero tesoro della Chiesa” (San Lorenzo)
- Inviati perché? – Riconoscendoci amati gratuitamente da Dio siamo chiamati a rendere visibile e tangibile l’amore di Dio per ogni uomo attraverso l’esercizio concreto del comandamento dell’Amore («Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». Gv 15, 17). Mandati a far conoscere ad ogni uomo la sua dignità davanti a Dio, a renderlo cosciente che egli è importante per Dio e che Dio lo ama gratuitamente. L’amore di Dio per ogni uomo non lo possiamo comunicare solo con parole, ma con gesti concreti, con opere di Carità.
- La Carità: prima via dell’Evangelizzazione
Se pensiamo al lavoro di tanti missionari e soprattutto all’impegno di tanti gruppi di sostegno ai missionari, ci rendiamo conto che essi si concentrano molto su progetti di solidarietà con i più poveri e di “promozione umana”. Ma questo è un lavoro che viene svolto anche da tante associazioni laiche, non confessionali, sostenute da buoni sentimenti e che si impegnano per pura solidarietà umana. Dove sta la differenza?
Il Direttorio Generale per la Catechesi (documento della Congregazione per il Clero, pubblicato nel 1997) , nel descrivere le fasi del processo dell’evangelizzazione ci dice che la Carità è spesso il primo passo dell’evangelizzazione. Coloro che sono raggiunti dalla Carità dei testimoni di Cristo si sentono spesso motivati a chiedersi e a chiedere: “Ma chi ve lo fa fare?”. E quando la risposta chiara e decisa è: “Gesù Cristo”, nasce in loro il desiderio di conoscerLo e di seguire lo stesso cammino.
Non si tratta pertanto di soli buoni sentimenti umanitari, ma di azioni concrete, di opere di carità e di misericordia, che diventano canale per trasmettere l’amore di Dio che ci è stato fatto conoscere in Gesù Cristo.
- “Visitare i carcerati”
Pensando in particolare all’opera di misericordia “Visitare i Carcerati” suggerisco di leggere il discorso di Papa Francesco del 14 settembre scorso, all’udienza alla Polizia Penitenziaria. (http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/09/14/0698/01435.html)
Nel suo discorso Papa Francesco ricorda un versetto molto significativo della Lettera agli Ebrei: «Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere» (Eb 13,3). Parlando alla polizia penitenziaria prima, poi ai cappellani e infine rivolgendosi agli stessi carcerati, il Papa suggerisce atteggiamenti che possono essere utili a tutti noi. Innanzitutto ci esorta a riconoscere sempre l’ “insopprimibile dignità” dei carcerati: sono persone che, nonostante tutto, continuano ad essere amate da Dio e che sono preziose agli occhi di Dio. A noi il compito di incontrare queste persone, di farci carico dei pesi si portano dentro, di offrire consolazione e di portare i loro pesi nella nostra preghiera. Rivolgendosi ai carcerati dice: “Non lasciatevi mai imprigionare nella cella buia di un cuore senza speranza”! Se vogliamo vivere e mettere in pratica questa opera di misericordia, abbiamo il compito di essere per queste persone dei “seminatori di speranza”!
Alcune esperienze concrete:
- Nella mia Diocesi di Verona il CSI (Centro Sportivo Italiano – che gestisce le attività sportive per i giovani degli oratori e delle parrocchie) ha proposto e organizzato per anni delle partite a calcio tra i detenuti del carcere e alcune squadre di calcio delle parrocchie. Per i giovani delle parrocchie sono state occasioni preziose per andare oltre quelle mura del carcere e avere un contatto “umano” con quelle persone. D’altra parte per i carcerati, sono state occasioni per guardare al di fuori di quelle stesse mura e rendere più forte il desiderio di recuperare la loro libertà e soprattutto la loro dignità.
- Un’altra esperienza è quella organizzata dai cappellani del carcere, che hanno coinvolto numerosi gruppi di canto delle parrocchie, invitandoli ad animare per una domenica la celebrazione della Messa nel carcere.
- Negli ultimi cinque anni mi trovavo in Guinea Bissau, nella diocesi di Bafatà. Abbiamo cercato di mantenere sempre un rapporto con il carcere locale, che si trovava vicino alla Curia, con visite frequenti, anche da parte del vescovo, ai carcerati. Viste le difficoltà che i detenuti soffrivano, anche per la scarsità degli alimenti che il governo forniva, abbiamo messo a disposizione un pezzo di terreno, all’interno della Curia, perché potessero coltivare ortaggi a complemento della loro alimentazione. Ogni giorno un gruppo di detenuti, accompagnati dai loro custodi, venivano a zappare, pulire e innaffiare il loro orto. Ricordo che un detenuto, al termine dei suoi 14 anni di pena, il giorno in cui uscì dal carcere volle per prima cosa fare visita al vescovo, abbracciarlo e ringraziarlo e gli disse: “Ho capito che posso avere una vita diversa, una vita migliore!”.