LA MORALE DEL CODICE E LA MORALE DELLA COSTRUZIONE DI SÉ

Verso i dieci comandamenti

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La morale indubbiamente vive oggi una situazione di incertezza che dura da ormai molto tempo. Alla domanda “perché un’azione umana è morale” per alcuni secoli si è sempre data la risposta “perché è conforme alla legge morale”. Oggi questa risposta sembra non essere più sufficiente. Per regolare la propria condotta morale l’uomo moderno non si accontenta più di riferirsi solo al codice (alla legge). Si aspetta anzitutto che la sua azione morale operi una “trasformazione” del suo stesso essere; cioè concepisce i suoi stessi atti come un’autorealizzazione di sé stesso.

Secondo il filosofo Michel Foucault tutta la storia della morale occidentale si può ricondurre all’alternanza fra due modelli etici: la morale del codice e la morale della costruzione del sé.

  1. La morale del codice: designa la morale preoccupata essenzialmente di conformare l’azione umana a un codice di regole e “leggi”.
  2. La morale della costruzione di sé: designa l’etica come l’arte dell’esistenza. Questa è fondata sui concetti sapienziali di “via” e di “virtù”.

 

La morale cristiana prende atto di questa situazione nuova e non segue più il modello proposto dalla “morale del codice”. Non è opportuno né auspicabile ormai presentare la morale sotto forma di un elenco di comandamenti da rispettare. Eppure, in questo corso presentiamo proprio i comandamenti. Perché? In realtà abbiamo compreso che quello dei comandamenti resta sempre un modello di riferimento, una memoria culturale da non cancellare. Faremo però i dovuti accorgimenti.

 

La dignità della persona e la sua chiamata all’amore.

Davanti all’uomo si aprono due vie: una conduce alla vita e l’altra alla perdizione. La morale consiste appunto nella scelta tra queste due possibilità. Non è possibile l’indifferenza, anche perché, poiché è stato creato con amore, l’uomo nella vita è chiamato da Dio (vocazione) ed è guidato dallo Spirito (vive nello Spirito). Questa vocazione non è dettata da un codice e non può essere manifestata principalmente da un insieme di leggi e precetti. La chiamata “irrompe” nella persona umana suscitando in essa una “dignità” che non ha pari.

Questa è una novità assoluta: mai una morale prima era stata impostata a partire dall’altissima dignità della persona umana. Ispirandoci al primo capitolo della GS (“la dignità della persona umana”) possiamo dire che l’uomo è “degno” perché è stato creato a immagine di Dio; ma anche perché è destinato alla “comunione” con le persone divine. La morale, dunque, non è più “il luogo del dovere”, ma diventa “il luogo del desiderio” e si definisce sempre più chiaramente come un tirocinio o una “pedagogia della felicità”.

L’uomo però non riceve “passivamente” la chiamata alla beatitudine/felicità. Usando dei mezzi a sua disposizione, egli diviene l’artefice del suo stesso destino e l’artista di un’opera che è la sua stessa esistenza. I mezzi che ha a disposizione e che deve imparare ad usare con saggezza sono quattro:

    1. la libertà (GS, n.17), grazie alla quale egli può assumersi la piena responsabilità di sé stesso;
    2. gli atti e le passioni, che si possono definire come il materiale con cui struttura la sua esistenza;
    3. la coscienza, intima scuola di verità (GS, n.16), che gli permette di cogliere ciò che è bene e ciò che è male e di soppesare quindi il valore delle sue scelte e dei suoi atti;
    4. le virtù, che formano la sua personalità morale e gli consentono di provare gioia nella pratica del bene. Che siamo acquisite (virtù morali) o date da Dio (quelle teologali), le virtù consentono all’uomo il passaggio dalla “virtualità” alla “virtuosità”.

 

Questa dignità però conferisce all’agire umano anche una dimensione drammatica e a volte tragica: da un lato spinge l’uomo a rispondere alla sua vocazione, dall’altro gli permette anche di poterla rifiutare. Il peccato è dunque il “lato oscuro” della dignità umana.

Un altro aspetto che non bisogna sottovalutare quando si ragione sull’agire morale dell’uomo è la sua vita sociale, che è un’insopprimibile esigenza della persona umana. Giacché esiste una significativa analogia tra la comunione trinitaria e quella degli uomini che tendono a stabilire nella vita sociale, è innegabile che la dignità stessa della persona umana la rende capace di partecipare alla vita sociale, di assumere le proprie responsabilità politiche ed economiche e di operare per la promozione del bene comune. Anzi possiamo dire che la dignità umana fonda la giustizia sociale e sta alla base di tutti i diritti dell’uomo: l’uguaglianza, il rispetto delle diversità, la solidarietà.

La dignità non si merita, così come non si perde mai. Tuttavia, dato che è di origine divina, impone all’uomo un programma morale, uno sforzo che l’uomo si impone per mostrarsi all’altezza della dignità che gli è propria. Questo sforzo, però, è superiore alla sua conoscenza e alla sua volontà; ecco perché Dio educa l’uomo con la sua legge e lo giudica con la sua grazia. In questa prospettiva si può capire il ruolo della Chiesa nella vita morale, la quale interpreta ed esplicita la legge divina (ruolo del Magistero) e dispensa la grazia nei sacramenti e nella preghiera.

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La chiesa si trova nella periferia orientale di Napoli, nel quartiere denominato San Giovanni a Teduccio; una zona di Napoli che, pur non essendo molto vasta (2.35 km²), sino al 1926 era comune autonomo, sorto sulla antica Via delle Calabrie.