OGNI RINASCITA RIPARTE DALLA FATICA DEL DESERTO

Lettera per la XXIX Giornata del Malato

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Carissimi fratelli e sorelle,

il mio pensiero ed il mio cuore sono rivolti, in questa Giornata, a tutti gli ammalati; voglio provare a raggiungervi ad uno ad uno con queste poche righe, affinché possiate sentirmi accanto a voi, accanto al vostro dolore e, soprattutto, perché possiate sentire sul vostro volto la carezza del Signore, forza nella nostra forza, speranza dentro la nostra speranza.

Come sicuramente saprete, da qualche giorno, ho scoperto la mia positività al Coronavirus e questa, mi impedisce di vivere quella quotidianità, fatta di incontri, di storie, di volti, di vite intrecciate che si guardano, si toccano, percorrono passi insieme. Per questa Giornata del Malato, avevamo in programma la mia visita agli ammalati ricoverati presso l’ospedale Cardarelli e la celebrazione della S. Messa insieme a chi sta vivendo il tempo della fatica; purtroppo, però, la mia positività ci ha costretti ad annullare tutto.

Eppure, all’inizio del mio ministero, nella Chiesa di Napoli, questo tempo che mi costringe a fermarmi, sembra essere una benedizione. È un battesimo nuovo, quello che ricevo in questo deserto. Battezzato, immerso. Sono battezzato, siamo battezzati: non è solo ricordo di un rito, ma è segno di rinascita. Rinascere. Sempre. Rinati a nuova vita, in Cristo. Per Cristo. E ogni rinascita, ogni nuovo inizio, nella fede, riparte dal deserto, dalla fatica del deserto. Come per il popolo, come per Gesù.

Immerso, immersi in questo deserto. Più volte, in questi giorni, mi sono soffermato sul senso di questo immergerci nella storia, nella quotidianità… come Gesù, capace di entrare senza paura, con coraggio, nella storia, nelle ferite di chi incontra. Ed è capace di cura proprio perché si immerge. Immergerci nella storia, nella nostra storia, quella complessa, a tratti contraddittoria, che noi viviamo e sperimentiamo sulla nostra pelle. Immergerci nelle piaghe sofferenti di questa terra, senza paura. Immergerci nella sofferenza silenziosa, di chi vive da solo, anche il dramma della pandemia. È il senso del nostro battesimo, che oggi con urgenza si rinnova! Immersi per rinascere! Immersi, per essere e dare speranza! Immersi, nel silenzio del deserto, per condividere insieme il dolore che attraversa la vita, che tocca il mondo.

È nel deserto, anche quello più duro, che tutti possiamo sentire quella voce che ci ama, ci benedice, ci rende e ci fa sentire figli. Voce che parla al cuore. Troppo spesso, corriamo il rischio che il nostro fare, il nostro pensare, il nostro essere nella e per la Chiesa, diventi una vetrina che mette al centro noi, e non il Signore. Troppo spesso, permettiamo che i riflettori siano puntati su di noi. E, allora, questo tempo in cui sono costretto a fermarmi mi invita a ripetere a me stesso e a questa Chiesa, che al centro di tutto, non c’è il vescovo con le sue opere, non ci sono i programmi perfetti, non ci sono gli schemi rigidi che ci ingabbiano… Al cuore di tutto, nel cuore di tutti, c’è e ci deve essere solo il Cristo. È Lui, solo Lui, il centro!

Il mio pensiero, oggi e in questi giorni, va in modo particolare a quanti stanno soffrendo o hanno sofferto a causa del virus, a quanti nel corso di questa pandemia, hanno perso qualcuno e hanno il cuore ferito pensando alle carezze non date, agli abbracci perduti. Penso a quanti, nei letti di ospedale o tra le mura della propria camera, combattono in solitudine, contro questo male e contro tutti gli altri mali. Penso alla sofferenza di tanti bambini. Al grido del dolore innocente. Penso a quanti portano nel cuore i segni dell’afflizione, della stanchezza, della desolazione… sono lì’, accanto a ciascuno di voi, nel silenzio del mio deserto. Ed è in quel silenzio condiviso, in quel deserto, mio e vostro, nostro, che possiamo imparare a scorgere il segno di una Presenza, la speranza di una certezza: il Signore non ci abbandona mai e vive con noi dentro ogni condizione umana.

Penso a tutti quelli che stanno soffrendo, nel corpo ma anche nello spirito. Anche in questo tuo momento, così difficile, così triste, così spaventosamente umano, si nasconde un’opportunità. Per te. Per noi. Per tutti. Ma lo è solo se restiamo fedeli e aperti, se rimaniamo, nonostante la durezza della prova, umanità che spera, sapendo che sorgerà prima o poi in noi la luce di una risposta alla nostra oscurità. Ad una certa profondità di sofferenza e di angoscia, si è necessariamente soli. Di fronte alla sofferenza esiste una soglia che non può essere valicata neppure dall’amico più intimo, neppure dal tuo vescovo. Nessuno, per quanto animato dalle migliori intenzioni, riesce a spingersi fin là. Né lo deve fare. Puoi partecipare, ma non puoi entrare. Nessuno riesce a capire (accogliere) totalmente il dolore di un altro. Puoi stare accanto… ma devi toglierti i sandali… perché anche quel luogo è terra santa. E il Signore è presente, non abbandona mai. È davvero presente! Conosce il nostro dolore, ascolta il nostro grido, quel filo di fiato che si fa invocazione. Si immerge nei fondali della nostra tristezza e della nostra paura, per risalire con noi, in quella inenarrabile spinta che ci aiuta a non arrenderci. Coraggio: non arrenderti, mai!

E penso, a quanti, medici, infermieri, operatori sanitari, sacerdoti, religiosi, religiose e volontari si prendono cura delle tante ferite, visibili e invisibili, spesso in condizioni estreme. Sento il desiderio di ringraziarvi per il vostro servizio, per la vostra vita donata accanto a chi fa più fatica, per le vostre mani delicate che esprimono l’arte della cura, per i vostri occhi attenti alla vita del fratello che vi è accanto. Mi sento con voi e vi sento con me! E questa vicinanza reciproca si fa abbraccio e luce, nonostante la paura, nonostante la solitudine. Il dolore, la sofferenza, ci fanno scoprire fragili, vulnerabili. Fatti di sogni e di desideri che in un attimo si infrangono. Eppure, anche se fragili e vulnerabili, non siamo perduti. Anche se nella preghiera, possiamo avvertire la fatica del buio, l’oscurità della notte, conserviamo nel cuore la certezza di non essere mai lasciati soli. Da qui, riparte la speranza, la nostra speranza. Perché essa, non è mai un’illusione. È racchiusa in un noi, da riscoprire e accogliere. È racchiusa nell’altro, da benedire e custodire. La vita ha valore, dignità, senso… sempre!

Riscopriamoci, in questo deserto, figli amati, benedetti. Tutti. Insieme.

E dal mio deserto, ricolmo del vostro affetto e della vostra vicinanza, vi raggiunga la mia carezza.

Prego per voi, con voi, perché il cuore si nutra di amore e di fiducia. Perché il Signore riempia di speranza questo tempo di dolore e di inquietudine. E della certezza che non siamo soli. E doni a noi la capacità di saper ascoltare le piaghe, imparando a riconoscerlo nelle piaghe dell’umanità, a partire da quell’umanità che è accanto a noi.

Dona, Signore, consolazione allo sconforto e speranza alla delusione.

Dona fiducia alla paura che mette all’angolo annientando il coraggio e la forza di reagire.

Dona coraggio alla fiducia.

Dacci la forza di portare la tua presenza lì dove Tu sei già presente. Portare la tua carezza.

Una carezza che infonda coraggio a chi vive nella paura.

Una carezza che doni speranza a chi è avvolto nell’ombra della delusione e della rassegnazione.

Una carezza che indichi la via a chi è smarrito.

Una carezza che rianimi la forza in chi è stanco e scoraggiato.

Una carezza che conceda gioia a chi è nella tristezza.

Una carezza che faccia sentire meno solo il fratello abbandonato ed emarginato.

Una carezza che offra consolazione a chi è ammalato.

Una carezza che riempia di Presenza il nostro presente.

Una carezza… quella che cerca ciò che di eterno si nasconde dietro una lacrima, un sorriso, una mano tesa.

Benedetto quello sguardo dietro l’angolo della vita, benedetta quella mano sulle spalle della vita, benedette quelle braccia che proteggono la vita, benedetti i passi affrettati di chi ha a cuore la vita.

don Mimmo

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La chiesa si trova nella periferia orientale di Napoli, nel quartiere denominato San Giovanni a Teduccio; una zona di Napoli che, pur non essendo molto vasta (2.35 km²), sino al 1926 era comune autonomo, sorto sulla antica Via delle Calabrie.